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Sichera Antonio
Ermeneutiche
by: Sichera Antonio€14,00
Insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Fondamenti di Ermeneutica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Insegna inoltre Fenomenologia ed Ermeneutica nella Scuola post-universitaria MIUR di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt. Formatosi in lessicografia con Giuseppe Savoca, si è occupato di questioni teoriche, sulla scia di Gadamer e di Benjamin, e ha studiato numerosi autori e movimenti della letteratura italiana ed europea.
L’ermeneutica è per sua intima natura una disciplina ‘plurale’. Essa incarna infatti il senso di quel ‘prospettarsi’ sul mondo che coincide con il nostro stesso esserci. Il cardine di questa galleria di sguardi è il corpo. Provare a immergere questo pensiero nell’acqua della letteratura, della poesia e della critica che segnano la cultura dell’Occidente vuol dire scommettere sul potere di novità insito nel quotidiano, nel comune, in ciò che appartiene a tutti.
ISBN: 978-88-6859-127-4
Publisher: Euno Edizioni
Publish Data: (2017) 2019
Page Count: 130
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Aspetti dell’ulissismo intellettuale dall’Ottocento a oggi by: Zago Nunzio €16,00
A cura di Nunzio Zago
Il presente volume si occupa, senza pretese di completezza ma in plurimi ambiti disciplinari (italianistica, francesistica, anglistica, germanistica), della funzione conoscitiva dell’ulissismo intellettuale dall’Ottocento a oggi. Si tratta di uno sguardo non corrivo sul mondo: sghembo, demistificante, un po’ da esule, un po’ da chierico vagante, a contatto con lingue e culture diverse anche se costretto, talvolta, nel perimetro di una stanza. Uno sguardo sempre animato da curiosità e irrequietezza, da una disposizione, magari solo immaginaria, alla “fuga”, a evadere da confini troppo angusti. Quella, insomma, del letterato più autentico.
Interventi di: Nunzio Zago | Andrea Manganaro | Antonio Sichera | Fernando Gioviale | Giuseppe Traina | Nicholas Brownlees | Massimo Sturiale | Michael O’Neill | Eleonora Sasso | Fabrizio Impellizzeri | Nella Arambasin | Marilia Marchetti | Alessandra Schininà | Gabriele C. Pfeiffer |
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I sortilegi della parola by: Zago Nunzio €15,00
A vent’anni dalla sua scomparsa, è il caso di riconoscere a Gesualdo Bufalino narratore, poeta, saggista, traduttore, autore di aforismi ─un posto di assoluto rilievo nel canone letterario, non solo italiano, del Novecento. Il posto che spetta agli scrittori grandi, “necessari”, a coloro che, oltre a inventare un “tono” inconfondibile, a dar voce a possibilità ancora inesplorate e inedite del linguaggio, hanno saputo porsi le domande inderogabili, esprimere i dubbi cruciali dell’esistenza. Lo stesso modo d’essere, disincantato e umbratile, dell’intellettuale Bufalino, più che un limite, appare, oggi, un vantaggio, una specola privilegiata che gli consentì d’attraversare indenne il periodo di forte contrapposizione ideologica del secondo dopoguerra e di presentarsi al pubblico, sia pure tardivamente, al giro di boa degli anni Ottanta, con le carte in regola, privo di certezze vecchie e nuove, per tornare a dire, in un contesto culturale disposto finalmente ad accoglierla, la propria verità ─a lungo tenuta al sicuro sotto la lingua, da moralista acre e “malpensante” qual egli era. Una verità che, nel fare i conti con i veleni del “secolo breve”, con i suoi turbamenti, privilegia la dialettica dell’io con sé stesso rispetto a quella dell’io con la società, percepibile solo sullo sfondo e si affida a una scrittura assai sofisticata, iperletteraria, immaginosa, disposta a sconfinare di continuo in altri ambiti (dalle arti figurative al cinema, dalla musica al gioco degli scacchi…), a impregnarsi di altri umori nel tentativo, grazie ai sortilegi della parola, di “popolare il deserto”, di trasformare la “vista” in “visione” e persino in “visibilio”, attingendo anche alla memoria per ridare una fittizia ma vivida durata a uomini e cose che il tempo ha cancellato e cancella.
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Gesualdo Bufalino e la tradizione dell’Elzeviro by: Zago Nunzio €14,00
Si dice elzevirismo e subito si pensa al prezioso laboratorio formale di matrice rondesca, allo scintillante calligrafismo di un Antonio Baldini, di un Bruno Barilli, di un Emilio Cecchi. La tradizione dell’elzeviro non si lascia rinchiudere, però, nel perimetro esclusivo della “prosa d’arte” degli anni Venti e Trenta: bastino nomi come Benedetto Croce, Arrigo Cajumi, Rosario Assunto, Giorgio Manganelli, Italo Calvino – giusta la minima, embrionale mappa abbozzata dal Convegno di cui in questo volume si pubblicano gli Atti – per rendersi conto della funzione educativa (laica, umanistica…) svolta a lungo, prima e dopo, dalla migliore intellettualità italiana attraverso la “terza pagina” dei giornali, quasi una libera cattedra di civiltà. Rispetto alla linea elzeviristica più propriamente legata alla “prosa d’arte”, del resto, al di là dei pregiudizi che, da Borgese a Moravia alla critica engagée del secondo dopoguerra, ne hanno accreditato l’immagine d’un “bello scrivere” fine a sé stesso, vacuo e provinciale, magari colluso col fascismo, è lecito un supplemento d’indagine, una qualche revisione. Il caso di Gesualdo Bufalino, appunto, allo scadere del secolo scorso, dimostra retrospettivamente (un po’ come Gadda con l’espressionismo scapigliato nell’interpretazione di Contini) che quella lezione non era così effimera e autoreferenziale quanto s’è voluto credere: attiva nello scrittore siciliano già nelle fasi più remote della sua sofisticata “anagrafe” intellettuale e contaminandosi, via via, con infiniti altri pimenti culturali, essa ha contribuito − nel saggista, nell’autore di aforismi, nel narratore − alla nascita d’uno stile «insieme esuberante e contratto», di un “tono” inconfondibile, fantasioso, ironico, brillantemente iperletterario, inquieto e pensoso.
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Trasibulo by: Montfleury Antoine-Jacob, Campangne Hervé-Thomas, Peris Giancarlo, €13,00
A cura di Hervé-Thomas Campangne – Traduzione di Giancarlo Peris
Contemporaneo e rivale di Molière, Montfleury è noto soprattutto per le sue commedie. Con la tragicommedia Trasibule, messa in scena nel 1663 ed eccentrica rispetto alla sua produzione abituale, il drammaturgo offre al pubblico dell’Hôtel de Bourgogne un lavoro di altro genere, la cui trama ricorda stranamente quella dell’Hamlet di Shakespeare: dopo aver fatto assassinare un monarca, un usurpatore aspira a sposarne la consorte. Di ritorno da un’assenza di due anni, Trasibule, legittimo erede del regno, simula la pazzia per sfuggire alla morte e preparare una terribile vendetta. L’interrogativo che sorge è dunque: Montfleury avrebbe imitato Shakespeare? Si potrebbe certo pensarlo se l’ipotesi non contraddicesse le ricerche degli storici della letteratura, secondo i quali il drammaturgo di Stratford-upon-Avon è rimasto sconosciuto in Francia fino al 1675. Ma come dimostrato nell’introduzione di Hervé-Thomas Campangne, le similitudini che avvicinano Trasibule ad Hamlet si spiegano attraverso il ricorso di Shakespeare e di Montfleury a una fonte comune. Hervé-Thomas Campangne è docente di letteratura francese presso la University of Maryland in College Park (USA). Specialista del XVI e XVII secolo, è autore del volume Mythologie et Rhétorique aux XVe et XVIe siècles, en France (Honoré Champion, 1996), dell’edizione critica del Cinquiesme Tome des Histoires tragiques de François de Belleforest (Droz, 2013), oltre che di numerosi saggi dedicati ad argomenti del Rinascimento e della letteratura classica, pubblicati nella “Revue d’Histoire Littéraire de la France”, in “XVIIe siècle”, “Studi Francesi”, “La Nouvelle Revue du XVIe siècle”, “Renaissance Quarterly”, e in “The Sixteenth Century Journal”. Giancarlo Peris, insegnante di italiano e storia, ha coniugato il suo interesse per la letteratura con quello per lo sport. Si è dedicato allo studio degli aspetti teorici delle forme metriche e alla composizione dei versi, e attualmente organizza corsi di metrica e di composizione poetica. Sul fronte sportivo, ha praticato l’atletica leggera a livello agonistico ed è stato allenatore nella disciplina. Nel 1960 ha acceso il tripode olimpico nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Roma.
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Il convitato di pietra by: Corneille Thomas, Laserra Annamaria, Peris Giancarlo, €18,00
Prefazione e cura di Annamaria Laserra – Traduzione di Giancarlo Peris
CON TESTO FRANCESE A FRONTE – Portato in scena il 15 febbraio 1665, il Dom Juan di Molière rimase in cartellone solo pochi giorni a causa della violenta reazione di una parte della corte, che lo considerò lesivo della morale pubblica, e non apprezzò che fosse scritto in prosa. La pièce ritornò solo dodici anni dopo, ma in versi, e con sostanziali modifiche nei contenuti. Portava il nome di Molière, sicché alcuni la considerarono postuma. Si trattava invece di una riscrittura di Thomas Corneille, fratello minore di Pierre, cui Armande Béjart aveva affidato il compito di rendere accettabile l’opera del suo defunto marito a chi l’aveva a suo tempo criticata nella forma e – soprattutto – nei contenuti. Per una serie di oscure circostanze, della versione originale non rimase più traccia in Francia. Venne sostituita da quella di Thomas Corneille, che riscosse un grandissimo successo. Solo due secoli dopo, grazie al ritrovamento di una copia stampata ad Amsterdam, il Dom Juan di Molière potè tornare finalmente in scena, e fu a quel punto il riadattamento in versi a essere accantonato, anche con un poco dissimulato disprezzo: quello che viene tributato a chi si presti a modificare un capolavoro. Eppure, a voler leggere questa versione corneliana da una diversa angolatura, non si può fare a meno di riconoscerle un indubbio interesse documentario (oltre che una non trascurabile perizia stilistica): intervenendo su quelle che vennero considerate le pecche del Dom Juan molieriano, gli interventi di Thomas Corneille fanno infatti riemergere le ragioni sociologiche, etiche e ideologiche che motivarono la condanna della pièce originaria. Il maggiore interesse di questa riscrittura consiste allora, paradossalmente, proprio nell’angolazione delle sue aggiunte, delle sue modifiche e dei suoi tagli, poiché ognuno di essi apre spiragli sulle preoccupazioni culturali e morali del Secolo d’oro e rende ancora percepibile il tono astioso di chi causò il ritiro del Dom Juan dalla scena. Apre cioè un suggestivo spaccato non solo sulla cabala scatenata contro Molière dal partito dei devoti, ma anche sui non semplici rapporti tra teatro e società nella Francia del Re Sole.
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