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Matos Izilda
Samba
by: Matos IzildaSOCIETA’, MUSICA E SENTIMENTI A RIO DE JANEIRO
Edizione italiana a cura di Chiara Vangelista
«Al Little Club Dolores Duran stava seduta, la chitarra in braccio e un foglio di carta di fronte. Come sempre, stava scrivendo con la matita per le sopracciglia». Una storia della Rio de Janeiro degli anni Quaranta e Cinquanta, attraverso la musica, la radio, le donne, gli uomini, gli amori: in una parola, il samba.
€10,00
ISBN: 978-88-97085-25-6
Publisher: Euno Edizioni
Publish Data: 2011
Page Count: 160
“Samba” Annulla risposta
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Il convitato di pietra by: Corneille Thomas, Laserra Annamaria, Peris Giancarlo, €18,00
Prefazione e cura di Annamaria Laserra – Traduzione di Giancarlo Peris
CON TESTO FRANCESE A FRONTE – Portato in scena il 15 febbraio 1665, il Dom Juan di Molière rimase in cartellone solo pochi giorni a causa della violenta reazione di una parte della corte, che lo considerò lesivo della morale pubblica, e non apprezzò che fosse scritto in prosa. La pièce ritornò solo dodici anni dopo, ma in versi, e con sostanziali modifiche nei contenuti. Portava il nome di Molière, sicché alcuni la considerarono postuma. Si trattava invece di una riscrittura di Thomas Corneille, fratello minore di Pierre, cui Armande Béjart aveva affidato il compito di rendere accettabile l’opera del suo defunto marito a chi l’aveva a suo tempo criticata nella forma e – soprattutto – nei contenuti. Per una serie di oscure circostanze, della versione originale non rimase più traccia in Francia. Venne sostituita da quella di Thomas Corneille, che riscosse un grandissimo successo. Solo due secoli dopo, grazie al ritrovamento di una copia stampata ad Amsterdam, il Dom Juan di Molière potè tornare finalmente in scena, e fu a quel punto il riadattamento in versi a essere accantonato, anche con un poco dissimulato disprezzo: quello che viene tributato a chi si presti a modificare un capolavoro. Eppure, a voler leggere questa versione corneliana da una diversa angolatura, non si può fare a meno di riconoscerle un indubbio interesse documentario (oltre che una non trascurabile perizia stilistica): intervenendo su quelle che vennero considerate le pecche del Dom Juan molieriano, gli interventi di Thomas Corneille fanno infatti riemergere le ragioni sociologiche, etiche e ideologiche che motivarono la condanna della pièce originaria. Il maggiore interesse di questa riscrittura consiste allora, paradossalmente, proprio nell’angolazione delle sue aggiunte, delle sue modifiche e dei suoi tagli, poiché ognuno di essi apre spiragli sulle preoccupazioni culturali e morali del Secolo d’oro e rende ancora percepibile il tono astioso di chi causò il ritiro del Dom Juan dalla scena. Apre cioè un suggestivo spaccato non solo sulla cabala scatenata contro Molière dal partito dei devoti, ma anche sui non semplici rapporti tra teatro e società nella Francia del Re Sole.
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Trasibulo by: Montfleury Antoine-Jacob, Campangne Hervé-Thomas, Peris Giancarlo, €13,00
A cura di Hervé-Thomas Campangne – Traduzione di Giancarlo Peris
Contemporaneo e rivale di Molière, Montfleury è noto soprattutto per le sue commedie. Con la tragicommedia Trasibule, messa in scena nel 1663 ed eccentrica rispetto alla sua produzione abituale, il drammaturgo offre al pubblico dell’Hôtel de Bourgogne un lavoro di altro genere, la cui trama ricorda stranamente quella dell’Hamlet di Shakespeare: dopo aver fatto assassinare un monarca, un usurpatore aspira a sposarne la consorte. Di ritorno da un’assenza di due anni, Trasibule, legittimo erede del regno, simula la pazzia per sfuggire alla morte e preparare una terribile vendetta. L’interrogativo che sorge è dunque: Montfleury avrebbe imitato Shakespeare? Si potrebbe certo pensarlo se l’ipotesi non contraddicesse le ricerche degli storici della letteratura, secondo i quali il drammaturgo di Stratford-upon-Avon è rimasto sconosciuto in Francia fino al 1675. Ma come dimostrato nell’introduzione di Hervé-Thomas Campangne, le similitudini che avvicinano Trasibule ad Hamlet si spiegano attraverso il ricorso di Shakespeare e di Montfleury a una fonte comune. Hervé-Thomas Campangne è docente di letteratura francese presso la University of Maryland in College Park (USA). Specialista del XVI e XVII secolo, è autore del volume Mythologie et Rhétorique aux XVe et XVIe siècles, en France (Honoré Champion, 1996), dell’edizione critica del Cinquiesme Tome des Histoires tragiques de François de Belleforest (Droz, 2013), oltre che di numerosi saggi dedicati ad argomenti del Rinascimento e della letteratura classica, pubblicati nella “Revue d’Histoire Littéraire de la France”, in “XVIIe siècle”, “Studi Francesi”, “La Nouvelle Revue du XVIe siècle”, “Renaissance Quarterly”, e in “The Sixteenth Century Journal”. Giancarlo Peris, insegnante di italiano e storia, ha coniugato il suo interesse per la letteratura con quello per lo sport. Si è dedicato allo studio degli aspetti teorici delle forme metriche e alla composizione dei versi, e attualmente organizza corsi di metrica e di composizione poetica. Sul fronte sportivo, ha praticato l’atletica leggera a livello agonistico ed è stato allenatore nella disciplina. Nel 1960 ha acceso il tripode olimpico nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Roma.
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L’indovina o i finti sortilegi by: Corneille Thomas, Donneau de Visé Jean, Ausoni Alberto, €20,00
Cura e traduzione di Alberto Ausoni
Il 19 novembre 1679, supportata da un’abile campagna pubblicitaria, al teatro di rue de Guénégaud va in scena la commedia La Devineresse, ou Les faux Enchantements. Tutta Parigi vi accorre, decretandone un successo e un ammontare d’incassi senza precedenti. La pièce, ideata da Thomas Corneille, fratello dell’illustre Pierre, e dal gazzettiere di Francia Jean Donneau de Visé, richiamava un inquietante soggetto di attualità, alludendo a una realtà di indovine, avvelenatrici e procuratrici di aborti che in quegli stessi anni infestavano Parigi. Tutta la capitale ne era al corrente, poiché la faccenda coinvolgeva le varie classi della società e alte personalità della corte, al punto da diventare un affare di Stato oltremodo seccante per un regno votato all’ordine e alla grandezza. Nel pieno del processo contro la spietata Catherine Monvoisin, nota a tutti come la Voisin e nodo strategico dell’“Affare dei veleni”, sul palcoscenico del teatro di rue Guénégaud si snodano in cinque atti i trucchi ingegnosi e gli espedienti magici messi in opera da una fattucchiera di nome Jobin, con la complicità di domestiche e assistenti, al fine di raggirare e soddisfare le più singolari richieste di una clientela di poveri diavoli e di esponenti del bel mondo parigino. Un ventaglio di comiche situazioni, tanto più che la scaltra Jobin è affidata alle doti attoriali di La Grange, in un ruolo en travesti. Se la clientela che sfila dall’indovina rispecchia, nei toni di una parodia, quello sciame di marchese, cavalieri e contesse che si recavano in incognito nelle sordide stanze della Voisin, non vi è traccia, tuttavia, di quell’atmosfera d’inquietudine che emerge dai lunghi interrogatori a cui quest’ultima quasi quotidianamente veniva sottoposta, con l’accusa di avvelenamenti, infanticidi ed esecrabili messe nere. I due autori, schivando ogni riferimento troppo esplicito alla “congiura dei veleni” e alle sue ripercussioni politiche, adottano gli ingranaggi di una pièce à machines e le comiche soluzioni di un divertissement per demistificare le arti chiromantiche e dissolvere il velo dell’ignoranza e la pubblica credulità. Giochi di specchi, ingegnosi trucchi e apparizioni di spazi illusori, spacciati come frutto di un sapere sovrannaturale, erano stati accuratamente studiati per trasformare in spettacolo vicende di assai più allarmante attualità. Divertito, il pubblico poté assistere a un lucroso mercato d’ingannevoli illusioni, e nell’accelerato happy end alla demistificazione di quel mondo di apparenze che è l’essenza stessa del teatro.
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L’elemento onomastico e lessicale di origine germanica nella dichiarazione di Arbroath (1320) by: Di Clemente Valeria €10,00
La lettera che i nobili di Scozia inviarono a papa Giovanni XXII nella primavera del 1320 rappresenta uno dei monumenti della storia scozzese medievale. Il suo contenuto, en gros, è conosciuto: una decisa protesta rispetto alle mire di un vicino troppo (pre)potente e la volontà di autodeterminarsi, anche vivendo in un piccolo paese ed essendo privi di grandi risorse, tramite la scelta di un re adeguato alle esigenze della communitas. Al di là del contenuto vulgato, tuttavia, si tratta di un documento diplomatico di grande finezza retorico-stilistica, impregnato di cultura religiosa e letteraria. Nel presente studio si analizza la Dichiarazione di Arbroath attraverso un’indagine etimologica e storico-linguistica dei nomi e cognomi dei firmatari e di alcuni elementi lessicali contenuti nel testo della lettera: essi rivelano aspetti significativi del complesso e stratificato influsso culturale e linguistico di origine germanica che, nel corso del Medioevo, ha grandemente contribuito alla costituzione dell’identità scozzese.
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Solo sei parole per Sciascia by: Curreri Luciano €11,00
Il titolo di questo agile, ‘leggero’ ma denso volumetto non vuol dire che le sei parole scelte – zolfara, popolo, morale, corpo, leggerezza, saggio – siano soltanto parole, per Leonardo Sciascia, ovvero parole al vento, senza fatti, senza precisi riferimenti o, come si diceva una volta, senza contenuti a sostanziarle, a concretarle, nella storia dell’uomo, dei suoi linguaggi, delle sue lingue. Le parole sono davvero importanti, per lo scrittore siciliano, e pure per l’autore di queste pagine, che crede, come Sciascia, nel racconto, e nel racconto critico in particolare.
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