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La storia si svolge attorno al 1720. Narra le vicissitudini del nobile cavaliere des Grieux e di Manon Lescaut. Lui ha 17 anni, lei 16. Travolto dal fascino della ragazza, des Grieux fugge con lei a Parigi, rinunciando alla ricchezza e alla dignità della sua famiglia. Per soddisfare le esigenze di Manon, scopre di poter guadagnare molto barando al gioco. Il denaro facile si perde altrettanto facilmente, e con esso des Grieux perde più volte anche Manon, che lo abbandona per uomini più ricchi. La loro vicenda giunge a una svolta decisiva quando si scontrano con un uomo molto potente: il signor di G… M… Costui non esita a farli imprigionare e, successivamente, fa condannare Manon alla deportazione nelle colonie francesi d’America. Il giovane, disperato e fedele, la segue. A New Orleans i due vivono serenamente fino a quando il governatore della Luisiana non promette in sposa Manon a suo nipote. Des Grieux sfida a duello il rivale e, pensando di averlo ucciso, fugge con Manon, sperando di raggiungere un insediamento inglese. Ma la giovane non resiste alla fatica e, per gli stenti, muore. Fin qui la vicenda conosciuta. Ma la storia della signorina Lescaut non si conclude con la sua morte. Intorno al 1760 venne pubblicata anonima una Suite de l’Histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut, che questo volume restituisce al lettore dopo oltre due secoli di oblio. L’autore immagina che Manon non fosse realmente morta. Risvegliatasi e liberatasi a fatica dello strato di terra che la ricopriva, le viene fatto credere che il cavaliere si sia voluto sbarazzare di lei. Nuove avventure e colpi di scena non smetteranno di stupire il lettore, che scoprirà in queste pagine una nuova Manon.
Il volume pone al centro del discorso la scrittura autobiografica e le sue forme plurali, tema a lungo rimosso, senza la pretesa di stabilire simmetrie tra il biografico e il biologico, né di fare del biografico una via d’accesso privilegiata all’opera. In un itinerario in cui vengono analizzati epistolari e carteggi, diari e autobiografie, blog e interviste, ma anche testamenti e lasciti a futura memoria, l’autore, in dialogo con Domenico Morelli e Salvador Dalí, con Frida Kahlo, Piero Manzoni e Ai Weiwei, con Giorgio de Chirico, Francis Bacon e Piero Gilardi, con Costantin Brâncuși e Marina Abramović, riflette, in particolare, sull’autobiografia quale spazio di processi di soggettivazione e sulla funzione dell’autore.
(a cura di Barbara Bruni – Premessa di Valerio Viviani) – Gobbo, deforme, assassino assetato di potere… Pare che nella storia d’Inghilterra non ci sia stato re più malvagio di Riccardo III di York: ecco almeno l’immagine ufficiale tratteggiata da storici del calibro di Thomas More, Francis Bacon, David Hume, per citare solo i più noti, e scolpita nella memoria collettiva grazie al genio drammaturgico di Shakespeare. Ma la raffigurazione tradizionale lascia spazio a troppi dubbi, a cominciare dal fatto che Thomas More e Shakespeare vissero sotto i Tudor, stirpe che godeva di scarso lustro agli occhi della gente e che, come tale, poteva trarre la propria legittimazione anche attraverso la denigrazione dell’ultimo erede dei ben più regali Plantageneti. Questo è solo uno dei sospetti che spingono Horace Walpole, poliedrico intellettuale settecentesco famoso per essere il padre del romanzo gotico, a riconsiderare la vicenda dopo avere riflettuto sulle tante incongruenze della versione canonica. Ne nasce così un trattato che, ridiscutendo l’approccio storiografico nei confronti del caso specifico di Riccardo, finisce per estendere la propria indagine ai meccanismi intrinseci alla narrazione degli eventi in senso lato, e a quanto questa sia legata a fattori estranei all’oggettività che dovrebbe essere caratteristica di ogni investigazione storica. Probabilmente non sapremo mai se Riccardo III si sia veramente macchiato dei tanti omicidi attribuitigli. Di fatto, la lettura dell’opera di Walpole ci porta a concordare con un’altra celebre autrice inglese, Jane Austen, che scrisse: “questo sovrano è stato generalmente trattato in modo molto severo dagli storici […] Innocente o colpevole che fosse, non regnò in pace a lungo, perché Enrico Tudor Conte di Richmond, da quel farabutto che era, fece un gran trambusto per prendersi la Corona”.
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