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Continenza Barbara
Samuel Butler. Un evoluzionista contro
by: Continenza BarbaraNoto in particolare per i suoi due romanzi Erewhon e The Way of All Fresh, Samuel Butler è stato uno scrittore inglese di epoca vittoriana. Personalità poliedrica, oltre che scrittore, fu pittore, musicista, fotografo, filosofo, critico e storico dell’arte, “divulgatore” scientifico, e perfino allevatore di pecore. “Controverso” è l’attributo più ricorrente quando si cerchi di definire chi, come lui, si è compiaciuto di autoproclamarsi un outsider. E di una controversia tratta questo saggio: quella con Charles Darwin, il “padre della teoria dell’evoluzione”.
€11,00
ISBN: 978-88-6859-174-8
Publisher: Euno Edizioni
Publish Data: 2021
Page Count: 156
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Il convitato di pietra by: Corneille Thomas, Laserra Annamaria, Peris Giancarlo, €18,00
Prefazione e cura di Annamaria Laserra – Traduzione di Giancarlo Peris
CON TESTO FRANCESE A FRONTE – Portato in scena il 15 febbraio 1665, il Dom Juan di Molière rimase in cartellone solo pochi giorni a causa della violenta reazione di una parte della corte, che lo considerò lesivo della morale pubblica, e non apprezzò che fosse scritto in prosa. La pièce ritornò solo dodici anni dopo, ma in versi, e con sostanziali modifiche nei contenuti. Portava il nome di Molière, sicché alcuni la considerarono postuma. Si trattava invece di una riscrittura di Thomas Corneille, fratello minore di Pierre, cui Armande Béjart aveva affidato il compito di rendere accettabile l’opera del suo defunto marito a chi l’aveva a suo tempo criticata nella forma e – soprattutto – nei contenuti. Per una serie di oscure circostanze, della versione originale non rimase più traccia in Francia. Venne sostituita da quella di Thomas Corneille, che riscosse un grandissimo successo. Solo due secoli dopo, grazie al ritrovamento di una copia stampata ad Amsterdam, il Dom Juan di Molière potè tornare finalmente in scena, e fu a quel punto il riadattamento in versi a essere accantonato, anche con un poco dissimulato disprezzo: quello che viene tributato a chi si presti a modificare un capolavoro. Eppure, a voler leggere questa versione corneliana da una diversa angolatura, non si può fare a meno di riconoscerle un indubbio interesse documentario (oltre che una non trascurabile perizia stilistica): intervenendo su quelle che vennero considerate le pecche del Dom Juan molieriano, gli interventi di Thomas Corneille fanno infatti riemergere le ragioni sociologiche, etiche e ideologiche che motivarono la condanna della pièce originaria. Il maggiore interesse di questa riscrittura consiste allora, paradossalmente, proprio nell’angolazione delle sue aggiunte, delle sue modifiche e dei suoi tagli, poiché ognuno di essi apre spiragli sulle preoccupazioni culturali e morali del Secolo d’oro e rende ancora percepibile il tono astioso di chi causò il ritiro del Dom Juan dalla scena. Apre cioè un suggestivo spaccato non solo sulla cabala scatenata contro Molière dal partito dei devoti, ma anche sui non semplici rapporti tra teatro e società nella Francia del Re Sole.
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L’indovina o i finti sortilegi by: Corneille Thomas, Donneau de Visé Jean, Ausoni Alberto, €20,00
Cura e traduzione di Alberto Ausoni
Il 19 novembre 1679, supportata da un’abile campagna pubblicitaria, al teatro di rue de Guénégaud va in scena la commedia La Devineresse, ou Les faux Enchantements. Tutta Parigi vi accorre, decretandone un successo e un ammontare d’incassi senza precedenti. La pièce, ideata da Thomas Corneille, fratello dell’illustre Pierre, e dal gazzettiere di Francia Jean Donneau de Visé, richiamava un inquietante soggetto di attualità, alludendo a una realtà di indovine, avvelenatrici e procuratrici di aborti che in quegli stessi anni infestavano Parigi. Tutta la capitale ne era al corrente, poiché la faccenda coinvolgeva le varie classi della società e alte personalità della corte, al punto da diventare un affare di Stato oltremodo seccante per un regno votato all’ordine e alla grandezza. Nel pieno del processo contro la spietata Catherine Monvoisin, nota a tutti come la Voisin e nodo strategico dell’“Affare dei veleni”, sul palcoscenico del teatro di rue Guénégaud si snodano in cinque atti i trucchi ingegnosi e gli espedienti magici messi in opera da una fattucchiera di nome Jobin, con la complicità di domestiche e assistenti, al fine di raggirare e soddisfare le più singolari richieste di una clientela di poveri diavoli e di esponenti del bel mondo parigino. Un ventaglio di comiche situazioni, tanto più che la scaltra Jobin è affidata alle doti attoriali di La Grange, in un ruolo en travesti. Se la clientela che sfila dall’indovina rispecchia, nei toni di una parodia, quello sciame di marchese, cavalieri e contesse che si recavano in incognito nelle sordide stanze della Voisin, non vi è traccia, tuttavia, di quell’atmosfera d’inquietudine che emerge dai lunghi interrogatori a cui quest’ultima quasi quotidianamente veniva sottoposta, con l’accusa di avvelenamenti, infanticidi ed esecrabili messe nere. I due autori, schivando ogni riferimento troppo esplicito alla “congiura dei veleni” e alle sue ripercussioni politiche, adottano gli ingranaggi di una pièce à machines e le comiche soluzioni di un divertissement per demistificare le arti chiromantiche e dissolvere il velo dell’ignoranza e la pubblica credulità. Giochi di specchi, ingegnosi trucchi e apparizioni di spazi illusori, spacciati come frutto di un sapere sovrannaturale, erano stati accuratamente studiati per trasformare in spettacolo vicende di assai più allarmante attualità. Divertito, il pubblico poté assistere a un lucroso mercato d’ingannevoli illusioni, e nell’accelerato happy end alla demistificazione di quel mondo di apparenze che è l’essenza stessa del teatro.
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Dante, Inferno I-II: i canti proemiali by: Mineo Nicolò €15,00
Se il dantismo degli ultimi decenni si è orientato verso la restituzione di un Dante medievale in quanto teologo, filosofo e moralista, non sono mancate ricerche specificamente incentrate sugli aspetti mistico-devozionali della sua opera. In questa direzione è isolabile una linea d’indagine – suggestiva e molto feconda – che ha restituito la figura di un Dante profeta o poeta-profeta e l’immagine di un poema, la Divina Commedia, da ripensare come opera integralmente profetica. Analizzando sotto questa luce l’intera opera del poeta, l’autore ha proposto nei suoi molteplici scritti di argomento dantesco una lettura della Commedia come narrazione, nella forma dell’allegoria poetica, di una conoscenza d’eccezione – culminante nel raptus sul modello paolino –, largita a Dante per la sua personale salvazione e funzionale alla missione in questa conferitagli di illuminare gli uomini del suo tempo. In questa prospettiva, i primi due canti dell’Inferno sono ampiamente analizzati nella loro singola funzione e nel loro interno rapporto come rappresentazione delle condizioni soggettive e oggettive per l’avvio dell’itinerario del personaggio protagonista. Una lettura integrata da una specifica proposta interpretativa riguardante la profezia del Veltro.
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Gesualdo Bufalino e la tradizione dell’Elzeviro by: Zago Nunzio €14,00
Si dice elzevirismo e subito si pensa al prezioso laboratorio formale di matrice rondesca, allo scintillante calligrafismo di un Antonio Baldini, di un Bruno Barilli, di un Emilio Cecchi. La tradizione dell’elzeviro non si lascia rinchiudere, però, nel perimetro esclusivo della “prosa d’arte” degli anni Venti e Trenta: bastino nomi come Benedetto Croce, Arrigo Cajumi, Rosario Assunto, Giorgio Manganelli, Italo Calvino – giusta la minima, embrionale mappa abbozzata dal Convegno di cui in questo volume si pubblicano gli Atti – per rendersi conto della funzione educativa (laica, umanistica…) svolta a lungo, prima e dopo, dalla migliore intellettualità italiana attraverso la “terza pagina” dei giornali, quasi una libera cattedra di civiltà. Rispetto alla linea elzeviristica più propriamente legata alla “prosa d’arte”, del resto, al di là dei pregiudizi che, da Borgese a Moravia alla critica engagée del secondo dopoguerra, ne hanno accreditato l’immagine d’un “bello scrivere” fine a sé stesso, vacuo e provinciale, magari colluso col fascismo, è lecito un supplemento d’indagine, una qualche revisione. Il caso di Gesualdo Bufalino, appunto, allo scadere del secolo scorso, dimostra retrospettivamente (un po’ come Gadda con l’espressionismo scapigliato nell’interpretazione di Contini) che quella lezione non era così effimera e autoreferenziale quanto s’è voluto credere: attiva nello scrittore siciliano già nelle fasi più remote della sua sofisticata “anagrafe” intellettuale e contaminandosi, via via, con infiniti altri pimenti culturali, essa ha contribuito − nel saggista, nell’autore di aforismi, nel narratore − alla nascita d’uno stile «insieme esuberante e contratto», di un “tono” inconfondibile, fantasioso, ironico, brillantemente iperletterario, inquieto e pensoso.
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Le asine di Saul by: Fichera Gabriele €16,50
La nostra epoca è segnata da un evidente scacco: mentre un mondo muore, un nuovo cosmo stenta a nascere. In termini lukacsiani, si vive ancora una volta in un frangente storico tipicamente “demonico”. Ma è possibile rintracciare i contorni perpetuamente oscillanti di una forma artistica che, senza alcuna pretesa di esaustività, raccolga almeno i tratti essenziali di questo incerto trapasso? Questa raccolta di scritti vuole fornire un contributo allo studio del saggismo letterario inteso come modo espressivo centrale di un dato momento storico. Posto sotto il segno ironico di quel Saul, che per Lukács, al pari del saggista, «era partito per cercare le asine di suo padre e trovò un regno», il volume esplora i felici “pretesti” del saggio, mettendosi alla ricerca delle asine di Manzoni, De Roberto, Palazzeschi, Ungaretti, Cassola, Longhi, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Fortini, Volponi e Pasolini.
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