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Zago Nunzio, Traina Giuseppe,
Il miglior fabbro
by: Zago Nunzio, Traina Giuseppe,€14,00
Direttore scientifico della Fondazione Bufalino. È stato professore ordinario di Letteratura italiana all’università di Catania, preside della facoltà di Lingue con sede a Ragusa e presidente della Struttura didattica speciale che ne ha preso il posto. Si è occupato di poesia giocoso-satirica nella Toscana di primo Ottocento, di romanzo italiano del Settecento, di Scapigliatura e Verismo, di moralisti del Cinquecento, di ulissismo intellettuale, di critici fin de siècle come Felice Cameroni e Vittorio Pica, di autori come Francesco d’Assisi, Federico Della Valle, Carlo Gozzi, Domenico Tempio, Leopardi, De Roberto, Luisa Giaconi, Grazia Deledda, Francesco Lanza, Arturo Loria, Ungaretti, Vittorini, Quasimodo, Brancati, Sciascia, Lucio Piccolo, Consolo, Ripellino, ecc.
Professore associato di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania, sede di Ragusa (città in cui risiede). Ha studiato diversi autori, opere, generi e temi della letteratura italiana, pubblicando volumi monografici, saggi, edizioni di testi. Il suo libro più recente è Un altro De Roberto. Esperimenti e ghiribizzi di uno scrittore (2018).
A cura di Nunzio Zago e Giuseppe Traina
Bufalino fra tradizione e sperimentazione
Scopo di questo convegno, che si è svolto l’11 e il 12 aprile 2013 a Ragusa, presso la Struttura Didattica Speciale di Lingue e Letterature Straniere (Università di Catania) e a Comiso, presso la Fondazione Gesualdo Bufalino, era di riunire alcuni studiosi – soprattutto, ma non solo, dell’ultima o penultima generazione – per tornare a discutere, appunto, di Bufalino, della sua prestigiosa officina in bilico fra tradizione e sperimentazione, in un momento come l’attuale in cui l’idea stessa di letteratura, e tanto più, dunque, quella “alta”, magnificamente incarnata dallo scrittore ibleo, sembra in pericolo. Analizzarne la sapienza e gli umori lessicali, le invenzioni stilistiche, le forme problematiche del pensiero; svelare intertesti e avantesti delle sue opere; ricostruirne i progetti editoriali: ecco le ambizioni che erano alla base dell’incontro, nella speranza che prima o poi Bufalino abbia il posto che merita nel canone della letteratura italiana del Novecento, al di là di pigre e attardate ricostruzioni manualistiche che non tengono conto, spesso, degli effettivi valori estetici e della capacità degli autori di rispondere alle domande autentiche, non banalmente consumistiche, dei lettori.
ISBN: 978-88-6859-009-3
Publish Data: 2014
Page Count: 208
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Dante, Inferno I-II: i canti proemiali by: Mineo Nicolò €15,00
Se il dantismo degli ultimi decenni si è orientato verso la restituzione di un Dante medievale in quanto teologo, filosofo e moralista, non sono mancate ricerche specificamente incentrate sugli aspetti mistico-devozionali della sua opera. In questa direzione è isolabile una linea d’indagine – suggestiva e molto feconda – che ha restituito la figura di un Dante profeta o poeta-profeta e l’immagine di un poema, la Divina Commedia, da ripensare come opera integralmente profetica. Analizzando sotto questa luce l’intera opera del poeta, l’autore ha proposto nei suoi molteplici scritti di argomento dantesco una lettura della Commedia come narrazione, nella forma dell’allegoria poetica, di una conoscenza d’eccezione – culminante nel raptus sul modello paolino –, largita a Dante per la sua personale salvazione e funzionale alla missione in questa conferitagli di illuminare gli uomini del suo tempo. In questa prospettiva, i primi due canti dell’Inferno sono ampiamente analizzati nella loro singola funzione e nel loro interno rapporto come rappresentazione delle condizioni soggettive e oggettive per l’avvio dell’itinerario del personaggio protagonista. Una lettura integrata da una specifica proposta interpretativa riguardante la profezia del Veltro.
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Dante e Boccaccio by: Zago Nunzio €9,00
Quello dei classici – e Dante e Boccaccio lo sono per antonomasia – è un patrimonio inesauribile al quale ogni generazione avverte prima o poi l’esigenza di attingere o di tornare, per cercarvi le risposte che servono, storiche ed esistenziali, o magari, semplicemente, per abbandonarsi al piacere del testo. L’autore di queste pagine si accosta a due capolavori come la Divina Commedia e il Decameron (e a un’operetta come il boccacciano Trattatello in laude di Dante) senza pretendere d’inoltrarsi in territori ignoti, d’imboccare piste inesplorate, ma in costante dialogo, anzi – ed è uno dei tratti distintivi del suo “metodo” critico –, con i tanti lettori di ieri e di oggi a cui si debbano interpretazioni decisive, imprescindibili, o soltanto spunti, suggestioni illuminanti… Ne viene un discorso rigoroso, affabile, modernamente sensibile, in grado di cogliere una “mossa” stilistica che sappia ancora sorprenderci, di pedinare – e valorizzare – una “verità”, di volta in volta lontana o vicina, capace ancora d’intrigarci.
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L’indovina o i finti sortilegi by: Corneille Thomas, Donneau de Visé Jean, Ausoni Alberto, €20,00
Cura e traduzione di Alberto Ausoni
Il 19 novembre 1679, supportata da un’abile campagna pubblicitaria, al teatro di rue de Guénégaud va in scena la commedia La Devineresse, ou Les faux Enchantements. Tutta Parigi vi accorre, decretandone un successo e un ammontare d’incassi senza precedenti. La pièce, ideata da Thomas Corneille, fratello dell’illustre Pierre, e dal gazzettiere di Francia Jean Donneau de Visé, richiamava un inquietante soggetto di attualità, alludendo a una realtà di indovine, avvelenatrici e procuratrici di aborti che in quegli stessi anni infestavano Parigi. Tutta la capitale ne era al corrente, poiché la faccenda coinvolgeva le varie classi della società e alte personalità della corte, al punto da diventare un affare di Stato oltremodo seccante per un regno votato all’ordine e alla grandezza. Nel pieno del processo contro la spietata Catherine Monvoisin, nota a tutti come la Voisin e nodo strategico dell’“Affare dei veleni”, sul palcoscenico del teatro di rue Guénégaud si snodano in cinque atti i trucchi ingegnosi e gli espedienti magici messi in opera da una fattucchiera di nome Jobin, con la complicità di domestiche e assistenti, al fine di raggirare e soddisfare le più singolari richieste di una clientela di poveri diavoli e di esponenti del bel mondo parigino. Un ventaglio di comiche situazioni, tanto più che la scaltra Jobin è affidata alle doti attoriali di La Grange, in un ruolo en travesti. Se la clientela che sfila dall’indovina rispecchia, nei toni di una parodia, quello sciame di marchese, cavalieri e contesse che si recavano in incognito nelle sordide stanze della Voisin, non vi è traccia, tuttavia, di quell’atmosfera d’inquietudine che emerge dai lunghi interrogatori a cui quest’ultima quasi quotidianamente veniva sottoposta, con l’accusa di avvelenamenti, infanticidi ed esecrabili messe nere. I due autori, schivando ogni riferimento troppo esplicito alla “congiura dei veleni” e alle sue ripercussioni politiche, adottano gli ingranaggi di una pièce à machines e le comiche soluzioni di un divertissement per demistificare le arti chiromantiche e dissolvere il velo dell’ignoranza e la pubblica credulità. Giochi di specchi, ingegnosi trucchi e apparizioni di spazi illusori, spacciati come frutto di un sapere sovrannaturale, erano stati accuratamente studiati per trasformare in spettacolo vicende di assai più allarmante attualità. Divertito, il pubblico poté assistere a un lucroso mercato d’ingannevoli illusioni, e nell’accelerato happy end alla demistificazione di quel mondo di apparenze che è l’essenza stessa del teatro.
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Storia del cavaliere des Grieux e di Manon Lescaut by: Prévost Antoine-François, Beretta Anguissola Alberto, €18,00
La storia si svolge attorno al 1720. Narra le vicissitudini del nobile cavaliere des Grieux e di Manon Lescaut. Lui ha 17 anni, lei 16. Travolto dal fascino della ragazza, des Grieux fugge con lei a Parigi, rinunciando alla ricchezza e alla dignità della sua famiglia. Per soddisfare le esigenze di Manon, scopre di poter guadagnare molto barando al gioco. Il denaro facile si perde altrettanto facilmente, e con esso des Grieux perde più volte anche Manon, che lo abbandona per uomini più ricchi. La loro vicenda giunge a una svolta decisiva quando si scontrano con un uomo molto potente: il signor di G… M… Costui non esita a farli imprigionare e, successivamente, fa condannare Manon alla deportazione nelle colonie francesi d’America. Il giovane, disperato e fedele, la segue. A New Orleans i due vivono serenamente fino a quando il governatore della Luisiana non promette in sposa Manon a suo nipote. Des Grieux sfida a duello il rivale e, pensando di averlo ucciso, fugge con Manon, sperando di raggiungere un insediamento inglese. Ma la giovane non resiste alla fatica e, per gli stenti, muore. Fin qui la vicenda conosciuta. Ma la storia della signorina Lescaut non si conclude con la sua morte. Intorno al 1760 venne pubblicata anonima una Suite de l’Histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut, che questo volume restituisce al lettore dopo oltre due secoli di oblio. L’autore immagina che Manon non fosse realmente morta. Risvegliatasi e liberatasi a fatica dello strato di terra che la ricopriva, le viene fatto credere che il cavaliere si sia voluto sbarazzare di lei. Nuove avventure e colpi di scena non smetteranno di stupire il lettore, che scoprirà in queste pagine una nuova Manon.
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Il convitato di pietra by: Corneille Thomas, Laserra Annamaria, Peris Giancarlo, €18,00
Prefazione e cura di Annamaria Laserra – Traduzione di Giancarlo Peris
CON TESTO FRANCESE A FRONTE – Portato in scena il 15 febbraio 1665, il Dom Juan di Molière rimase in cartellone solo pochi giorni a causa della violenta reazione di una parte della corte, che lo considerò lesivo della morale pubblica, e non apprezzò che fosse scritto in prosa. La pièce ritornò solo dodici anni dopo, ma in versi, e con sostanziali modifiche nei contenuti. Portava il nome di Molière, sicché alcuni la considerarono postuma. Si trattava invece di una riscrittura di Thomas Corneille, fratello minore di Pierre, cui Armande Béjart aveva affidato il compito di rendere accettabile l’opera del suo defunto marito a chi l’aveva a suo tempo criticata nella forma e – soprattutto – nei contenuti. Per una serie di oscure circostanze, della versione originale non rimase più traccia in Francia. Venne sostituita da quella di Thomas Corneille, che riscosse un grandissimo successo. Solo due secoli dopo, grazie al ritrovamento di una copia stampata ad Amsterdam, il Dom Juan di Molière potè tornare finalmente in scena, e fu a quel punto il riadattamento in versi a essere accantonato, anche con un poco dissimulato disprezzo: quello che viene tributato a chi si presti a modificare un capolavoro. Eppure, a voler leggere questa versione corneliana da una diversa angolatura, non si può fare a meno di riconoscerle un indubbio interesse documentario (oltre che una non trascurabile perizia stilistica): intervenendo su quelle che vennero considerate le pecche del Dom Juan molieriano, gli interventi di Thomas Corneille fanno infatti riemergere le ragioni sociologiche, etiche e ideologiche che motivarono la condanna della pièce originaria. Il maggiore interesse di questa riscrittura consiste allora, paradossalmente, proprio nell’angolazione delle sue aggiunte, delle sue modifiche e dei suoi tagli, poiché ognuno di essi apre spiragli sulle preoccupazioni culturali e morali del Secolo d’oro e rende ancora percepibile il tono astioso di chi causò il ritiro del Dom Juan dalla scena. Apre cioè un suggestivo spaccato non solo sulla cabala scatenata contro Molière dal partito dei devoti, ma anche sui non semplici rapporti tra teatro e società nella Francia del Re Sole.
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