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Questo libro è un appassionato viaggio retrospettivo dentro la scuola, un viaggio a ritroso in cui le memorie dell’antropologa si intessono con i racconti di bambini, genitori, insegnanti, operatori sociali, impegnati a dare senso, in forme narrative e pragmatiche, all’«integrazione educativa». I dialoghi, gli avvenimenti e le scene di vita tra i banchi diventano un’occasione per specchiarsi e riflettere insieme sul mondo quotidiano della scuola, in una fase in cui in Italia si cominciava a sperimentare, come su un difficile banco di prova, il «paradigma interculturale». L’autrice restituisce, nella loro irrisolta frammentarietà, i vissuti, i dubbi e i desideri che animavano un circolo didattico periferico nel VI Municipio di Roma, nei primi anni di questo secolo, tra il 2000 e il 2001, e li reinterpreta alla luce degli scombussolamenti oggi in atto nel mondo della scuola. Ne emerge un affresco problematico delle dinamiche performative e simboliche che si attivano quando insegnanti, famiglie, educatori si confrontano con la governance dell’accoglienza per far fronte alla scolarizzazione di alunni «immigrati» e «rom».
Questo libro raccoglie relazioni, articoli e riflessioni scritti o elaborati tra il 2016 e il 2021; non è quindi un’opera unitaria ma un insieme di varie stesure. Da un punto di vista formale, La vita ispirata si ricollega ad Approdi invisibili (scritto nel 2016) ma rispetto a quest’ultimo possiede un carattere più unitario, meno variegato, senza aspetti umoristici o narrativi, più identificabile nelle caratteristiche del ‘saggio’. Probabilmente è il più ‘filosofico’ dei libri di Sergio Guarino, dove è meglio espressa la sua personale visione sul significato dell’esistenza, anche se articolata attraverso scritti diversi. Il problema di fondo che qui viene esaminato è il futuro dell’Uomo e l’evidente suo ritardo rispetto allo sviluppo ormai sempre più pervasivo e trionfante della tecnica, della necessità di pensare e attuare un progetto per la sua evoluzione, indispensabile per non restare vittima del progresso.
Il libro è un racconto e uno strumento. La questione privacy, quella dei compiti a casa (le abbiamo viste tutti le gag di genitori che da sotto il tavolo o da dietro una porta davano suggerimenti al figlio interrogato). Ecco. Il rapporto genitore-insegnante. La questione, che così facilmente si presta all’ironia, è indiscutibilmente seria. E decisiva. I vantaggi e i rischi della DAD. Focus su DAD e cyberbullismo: l’adolescente in lacrime davanti a uno schermo può essere figlia o sorella o nipote di ogni lettore. Nuovi spazi per hacker e bulli. Non più difficile, non meno devastante, del bullismo in presenza. Semplicemente: nuovo, diverso. E allora, pagina dopo pagina, l’Autrice cerca di scovare e indagare gli aspetti positivi e negativi di queste nuove forme d’apprendimento. Nuove forme che dobbiamo imparare.
Le dipendenze sono le patologie più rappresentative dell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dalla frequenza con la quale una moltitudine di persone ingaggia un comportamento e uno stile di vita insani e distruttivi, con la convinzione paradossale che il contenuto e la modalità della propria dipendenza siano espressione della personale ricerca di libertà e benessere. L’autore del libro offre un approccio teorico e clinico originale alla complessità del problema delle varie forme di dipendenza, basato su due aspetti centrali sui quali si articola la trattazione: da una parte la descrizione dei tipi psicologici che definiscono differenti motivazioni e modalità di accostarsi alle esperienze additive, dall’altro l’approfondimento delle sub-personalità correlate alle varie forme di dipendenza. Lo scopo principale del libro è di offrire a terapeuti e operatori delle patologie da dipendenze uno strumento pratico che fa riferimento ai sette tipi umani individuati da Assagioli.
Un libro insolito: non è un racconto, né un saggio, né una raccolta di poesie. Potremmo definirlo “un viaggio”. Un viaggio nel percorso di vita dell’autore, una chiacchierata con un amico, che ti parla delle sue convinzioni, ti cita una poesia, ti racconta una commedia e quando ti annoia non si offende se non l’ascolti e vai avanti. Il filo conduttore c’è, ed è il lavoro interiore dell’autore attraverso la conoscenza e la pratica di oltre trent’anni della Psicosintesi di Assagioli e della sua meditazione, di come l’ha incontrata e chi gli ha fatto da maestro. Di tutto questo parlano sia gli scritti che i racconti, come anche la breve commedia. L’ordine di questi scritti non è casuale e il senso di quello che l’autore vuole esprimere è anche nella loro successione.
Il volume raccoglie gli interventi del seminario Incontrare i margini. Declinare l’educare con lo sguardo degli ultimi, svoltosi il 7 marzo 2012 presso l’Università degli Studi di Enna «Kore». Il paradigma della differenza in educazione rappresenta la chiave d’ingresso per decifrare la complessità, per interpretare l’alterità e per orientare la relazione nei termini problematicisticamente aperti dell’emancipazione critica e della coscientizzazione. Nello spirito di una pedagogia democratica, definita secondo i criteri di una nuova paideia, il corso di laurea di Scienze dell’educazione, nel solco delle iniziative promosse da cinque anni a questa parte, ha inteso offrire un nuovo contributo di riflessione per ribadire l’importanza, il valore e il significato di una pedagogia militante, che sappia sempre e comunque collocarsi dalla parte degli ultimi e svolga, inoltre, una funzione di demitizzazione/decostruzione/decriptazione per smascherare le logiche dei poteri forti della politica e dell’economia e di qualsiasi altro sistema oligarchico, corporativo e/o lobbistico. Muovendosi nell’ottica che interpreta la democrazia come tutela dei più deboli, delle minoranze e dei marginali, il volume tenta di proporre itinerari per ripensare e ridefinire il pedagogico e l’educativo con l’occhio della differenza per tracciare nuovi orizzonti ermeneutici e individuare nuovi approdi euristici in grado di attivare processi di negoziazione tra teoria e prassi educativa.
È possibile e lecito immaginare la costruzione di un nuovo umanesimo in un’epoca, come quella attuale, caratterizzata da un galoppante revanscismo neorazzista e dalla deriva valoriale? Stefano Salmeri risponde di sì e propone di rifarsi alla Bildung ebraico-chassidica per costruire una società nella quale Verità, Giustizia e Pace saranno i principi fondamentali e in cui il maestro/profeta/tsaddiq sarà guida, esempio e attore/artefice militante in vista della rigenerazione di tutti e di ciascuno. La tradizione ebraico-chassidica, non più presente nell’Europa Orientale dopo la tragedia della Shoah, vive ancora nella testimonianza e nella ricostruzione che ci hanno consegnato pensatori come Buber e Scholem, ma anche scrittori e filosofi come Kafka, Benjamin, Lévinas, Derrida, Rosenzweig. A questi interpreti il volume fa riferimento per tentare di restituire e di presentare al dibattito pedagogico italiano una epistemologia educativa, ermeneuticamente orientata, i cui assunti teoretici appaiono non solo attuali, ma addirittura vitali e rivitalizzanti per la messa in opera di una sincera e problematicamente aperta pedagogia.
RIPENSARE LA CRITICITA’ DIALOGICA ATTRAVERSO IL CONTRIBUTO PEDAGOGICO DI ALDO CAPITINI
Nella prospettiva di una pedagogia libertaria e liberatrice, Aldo Capitini, laico-profeta ed eretico-religioso, appare sicuramente un intellettuale ancora oggi centrale ed innovatore per l’attuazione di un’autentica educazione alla nonviolenza. Pensatore antidogmatico, problematico e problematicista, Aldo Capitini, con la sua concezione aperta del fare educazione offre stimoli e spunti di riflessione vivi e fecondi. L’apertura, infatti, in pedagogia è ricerca e sperimentazione continue, non in un asettico ed astratto spazio/limbo metafisico e/o ontologico, ma come incedere sul terreno infinito ed accidentato del possibile, che nella e attraverso l’esperienza, la relazione e il dialogo si invera o viene smentita. Il profetismo di Aldo Capitini, allora, diventa paradigma di un costante e perenne ricercare, di un anelito alla perfezione e di un tentativo di dare compimento e compiutezza all’eticità, non prevedendo sconti e/o giustificazioni, né nel presente, né nel futuro. Quello di Capitini è un messaggio di fratellanza e di pacificazione, un messaggio/afflato di incontro e di dialogo cosmico.
La differenza in educazione è la cifra indispensabile e il valore aggiunto per costruire la relazione secondo i criteri di una nuova paideia che ambisce a diventare prassi e teoria criticamente emancipatrice. In una prospettiva aperta e democratica si cerca di presentare in questo lavoro una riflessione pedagogica che si propone di offrire un approccio convergente e divergente del pensiero e che intende fornire risposte problematiche e non dogmatiche agli effettivi e reali bisogni formativi di ogni singolo allievo in situazione di differenza per cultura, per appartenenza sociale, per status economico, per disabilità e per identità sessuale. L’attenzione alla singolarità e alle sue peculiarità, il riconoscimento e il rispetto dell’alterità, il senso della responsabilità assoluta nella relazione educativa e nell’agire quotidiano, la dimensione etica, la ricerca incessante del meglio, la necessità di immaginare e di costruire una società e un mondo sempre più a misura d’uomo costituiscono le direttrici fondamentali del volume, che, non pretendendo di essere esaustivo, si propone però di lanciare alcune provocazioni per spingere a ripensare l’educativo in un’ottica problematica e critica: un’educazione che come nuova paideia intenda essere pratica dell’integrazione e teoresi dell’inclusione secondo le logiche di un mutuo scambio, nel quale, in un dialogo permanente dettato da una reciprocità concretamente vissuta, ognuno è incessantemente centro e periferia a seconda delle esigenze, ma mai marginale e/o diverso/escluso/discriminato.
TRA EDUCAZIONE E IMPEGNO MILITANTE
Viviamo in un’epoca di profonda recessione ideologica e la cultura sembra aver perduto la sua pervasività, fino ad apparire depotenziata e, a volte, addirittura inefficace. La violenza e l’aggressività sono spesso accolte tra l’indifferenza e l’acquiescenza collettiva: riemergono così i vecchi idoli, la patria, il filo spinato; e i fantasmi del razzismo, dell’antisemitismo, della discriminazione verso i più deboli o differenti. È bene allora che la pedagogia vada a recuperare nel suo passato l’azione e il pensiero di intellettuali come Aldo Capitini, che hanno saputo fare della militanza, della ricerca e dell’impegno la loro pratica di vita, per recuperare concezioni e valori universali di cui il mondo contemporaneo sembra essersi spogliato. Il pensiero di Aldo Capitini appare non solo attuale, ma vivo: costituisce uno di quei modelli positivi in grado di offrire alla pedagogia contemporanea le vie più idonee per contrastare il trionfo dei disvalori creati dal mercato globale. L’etica della nonviolenza, principio fondante e fondamentale dell’educazione aperta di Aldo Capitini, può, quindi, animare l’attuale e il prossimo dibattito culturale, fornendo molteplici stimoli, occasioni di riflessione e di approfondimento, ma anche dubbi e nodi da sciogliere, come l’esigenza di decentramento del potere, la tensione ad una religiosità che non sia dogma, gerarchia e compromesso con il mondo, ma libera espressione di una negazione/superamento della realtà data.
Prefazione di Salvo Andò
La democrazia e l’educazione costituiscono il più sicuro ed efficace antidoto contro il populismo, male endemico di tutte le forme di governo non libertarie, autoritarie e/o, addirittura, dittatoriali. Già i Greci sapevano che la democrazia può degenerare in demagogia e che, quindi, la forma più avanzata di partecipazione e di coinvolgimento popolare può facilmente trasformarsi in una deriva autoritaria, anche se apparentemente mantiene le forme, le strutture e le istituzioni del governo di tutti. I pericoli risultano maggiori, oggi, con il trionfo del potere mediatico, che permette una capillare e sistematica manipolazione dell’opinione pubblica e, peraltro, pervicacemente cerca di penetrare nelle menti per orientare il pensiero, le scelte, le opinioni. Così si ha il trionfo del pensiero unico, che non ha più bisogno di un esercizio libero della ragione ma di soggetti proni di fronte alle offerte del mercato, gagliardamente consumatori, non più cittadini ma sudditi; non servono più intellettuali, ma persone genericamente informate e/o formate. Per tale ragione diventa imperativo categorico ripensare in termini etici la politica e ridotare di senso e di valore l’educazione come pratica/strumento/percorso capace di favorire il cambiamento, di stimolare l’emancipazione, di promuovere il riscatto per tutti e per ciascuno e, di conseguenza, di scongiurare qualsiasi deriva populista, il demagogismo libertario, la tirannia del mercato, la mancanza di coscienza critica, l’idolatria del dio denaro, il culto dei potenti e dei più forti.
Elementi di psicologia giuridico-forense
L’incontro fra diritto e psicologia non è semplice, né facile. Il diritto è una scienza prescrittiva, legata al mantenimento e ripristino dell’ordine e della sicurezza sociale, e basata su norme e procedure all’interno delle quali gli spazi per la soggettività sono ridotti e ben definiti. Invece, la psicologia è una scienza descrittivo-applicativa, che mira a comprendere i fenomeni e a programmarne i cambiamenti partendo proprio dalla soggettività degli attori sociali. Il diritto tende alla certezza della decisione e usa una logica di causalità lineare, la psicologia introduce la logica della probabilità e si basa su una epistemologia di multi-determinazione e di causalità circolare. Non sempre questi mondi si incontrano sul piano teorico ed epistemologico, pur dovendo convivere e arrivare a dei compromessi nelle aule giudiziarie. Perché questa convivenza sia proficua, occorre anzitutto che ognuna delle due scienze conosca – almeno nelle linee essenziali – i principi e i meccanismi dell’altra.